Volentieri pubblichiamo l’intervista di Enrique Ubieta al dottor Adrian Ramón Benitez ripresa “CubaSí”, sito cubano di informazione digitale. E’ nostra missione e premura, come Centro Studi Italia Cuba, facilitare la conoscenza e la diffusione di ogni espressione della “cubanità” in tutti i campi della cultura - umanistica, artistica, tecnica e scientifica - e diffondere il messaggio del più profondo sentimento di cui è intrisa la Rivoluzione: l’internazionalismo umanitario. Ma non possiamo nascondere che per noi è anche motivo di particolare orgoglio, perché ci fregiamo del privilegio di aver potuto lavorare con Enrique e Adrian in occasione della loro permanenza a Torino durante la missione della Brigata Henry Reeve.
Per il dottor Adrian Ramón Benítez Proenza, specialista di primo grado in Igiene ed Epidemiologia, la solidarietà è un sentimento innato. Da quando ha scelto di essere medico, resistere alle avversità e aiutare chi si trova in situazioni svantaggiate, anche se ciò comporta grande sacrificio, sono state le premesse del suo lavoro quotidiano.
Lo dimostra la sua partecipazione alla lotta contro l’ebola in Liberia nel 2014, il sostegno alle Isole Figi dopo gli effetti devastanti del ciclone Winston nel 2016 e l’assistenza a circa 20.000 vittime delle inondazioni causate dal fenomeno climatico “El Niño Costero” in Perù, nel 2017.
In Ecuador, Adrian ha avuto la possibilità di scambiare esperienze con altri collaboratori e di stringere legami con i suoi pazienti al punto da considerarli come una famiglia, una relazione troncata nel 2019 a causa dell’annuncio del governo di quella nazione di porre fine alla collaborazione medica con Cuba. Nel 2020, a Torino, ha partecipato anche alla lotta contro la COVID19.
Adrian Benitez Proenza ci ha raccontato della sua crescita professionale e come essere umano in ognuna di queste esperienze, e della sua dedizione per mantenere la salute e il benessere dei suoi pazienti.
Negli anni di esercizio della sua professione, quali sono state le differenze che ha potuto evidenziare tra il sistema sanitario cubano e la medicina privata?
Ho avuto la possibilità di visitare luoghi molto distanti geograficamente. Quando dico questo, intendo paesi con sistema sociale capitalista e non come il nostro. Ho visto moltissime cose che rattristano l’anima umana: la miseria, la fame o la scarsa accessibilità ai servizi sanitari…
Cuba, al contrario, ha un sistema sanitario riconosciuto a livello mondiale e noi siamo stati in grado di portarlo in altre regioni con lo scopo di aiutare. In particolare, Cuba si distingue per l’accessibilità ai servizi sanitari. Ogni cubano, per quanto lontano possa vivere, può beneficiare dei servizi indispensabili per la sua salute e di un’assistenza immediata, come stabilito nella salute pubblica. Questo è incomparabile.
Un altro aspetto è che il servizio è offerto gratuitamente: con particolare attenzione alla donna incinta, al bambino in età di allattamento e a ogni persona che soffre di malattie croniche. La nostra popolazione è totalmente seguita, mentre in altri paesi non ne conoscono nemmeno le esigenze… Queste sono le caratteristiche degli altri sistemi sociali.
A volte la verità su Cuba viene distorta da alcuni mezzi di informazione internazionali. Di fronte a tale realtà, come è l’accoglienza degli abitanti in altre regioni, come si ottiene la fiducia e come si crea empatia tra dottore e paziente?
Questa domanda mi commuove perché l’ho vissuta sulla mia pelle. Siamo giunti in luoghi in cui, a volte, non abbiamo avuto la minima accoglienza. Ho lavorato con comunità indigene in Ecuador e, all’inizio, parlavano nel dialetto tipico della regione per non farci capire, ma con l’aiuto dei traduttori, del nostro umanitarismo e le nostre conoscenze ci siamo riavvicinati.
In paesi sviluppati come l’Italia abbiamo dovuto dimostrare il nostro valore come professionisti. Arrivato a Torino, un primario di ospedale della città ha avuto la pazienza di intervistarci ciascuno per conoscere il nostro livello professionale. Poi è venuto con noi nella zona rossa per vedere come seguivamo i pazienti, come li accompagnavamo al loro letto, come facevamo l’accoglienza e il follow-up. Quando ha visto che rispettavamo tutto il protocollo, allora ci ha dato il pieno consenso per lavorare.
Il momento di gratitudine più grande a Torino è stato quando le autorità ci hanno dato i riconoscimenti e ancora più importante è stato la gratitudine dei pazienti. Erano centinaia le lettere in cui scrivevano: “Voi siete medici, siete i nostri angeli salvatori, siete arrivati da noi”. Non avevano mai visto i paramedici italiani trattarli come li trattavamo noi, un contatto diretto da corpo a corpo con il paziente, pur con una malattia così infettiva e contagiosa, e questo lo hanno apprezzato molto. Questi ringraziamenti sono stati espressi dalla stampa italiana sulle televisioni.
Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, i medici cubani sono trattati dal governo cubano come “schiavi” ed è stato questo uno dei principali presupposti per chiudere i contratti in paesi come il Brasile, l’Ecuador e la Bolivia. Come ricorda quando ha dovuto abbandonare i suoi pazienti?
Sinceramente, mi è dispiaciuto più perché avevano perso le nostre cure che per il fatto di andare via. Sono tornato nel mio paese, il mio luogo d’origine, la mia famiglia dalla quale mi allontano per poter aiutare loro. Il governo di questi paesi non riconosce il valore e l’importanza di ciò che sono capaci di fare i medici cubani: cioè quello che non fanno i loro professionisti, sostenitori di una medicina basata sull’aspetto economico. Noi medici cubani, quando usciamo di qui, firmiamo un accordo ed è logico che ci si debba attenere a questo patto. È come se ti avessi detto che sarei venuto a casa tua oggi e poi non l’avessi fatto, ed è lì che ho infranto la mia parola di professionista. Non farei mai quello che fanno alcuni dei nostri collaboratori, che dopo aver lasciato la missione cominciano a diffamare il nostro Paese. Io non mi sento un medico sfruttato, ma realizzato per aver potuto crescere nella Medicina. Sento soddisfazione, ma non del tutto perché voglio fare sempre di più. Mi sento in dovere verso l’umanità e non verso la mia persona. Se segui i consigli di Esculapio, considerato nella mitologia greca il dio della Medicina e della guarigione, sai che il medico è in debito con gli altri. È capace di sacrificarsi perché altri ottengano il loro benessere, che è la salute: il bene più primordiale che un essere umano può avere.
La COVID19 ha scosso seriamente i dogmi neoliberali e abbiamo assistito al collasso sanitario delle grandi potenze. Come valuta lo sforzo di Cuba nell’affrontare la pandemia sull’isola e a livello internazionale?
Sono sicuro che questa sia una delle grandi cose che ha fatto il nostro Paese. Sotto la dottrina del comandante Fidel Castro è stata forgiata una Medicina più umanista, solidale, altruista e internazionalista. Se guardiamo alla Storia, abbiamo già avuto molti esempi di Internazionalismo nei confronti del nostro paese. Cuba dimostra, giorno dopo giorno, di non essere una potenza economica mondiale, ma una potenza medica internazionale. Non abbiamo lo sviluppo economico in attrezzature, ma abbiamo la conoscenza e lo abbiamo dimostrato nei paesi sviluppati. In quelle nazioni l’attrezzatura è iper sofisticata, di prima linea, e già dopo una settimana i nostri collaboratori dominavano tutto l’uso di quelle attrezzature, il protocollo con i pazienti e scrivevano anche in italiano molte delle loro cartelle. Credo che l’esempio più grande che si può dare all’umanità sia che il nostro Paese, non solo per il suo popolo, ma per il resto del mondo, pensa prima all’uomo, all’essere umano, e non alla ricchezza.
Articolo originale: “Esclavo” por el bienestar y la salud de las personas