di Yelena Rodríguez Velázquez, Prensa Latina, 3 giugno 2022
traduzione a cura di Centro Studi Italia Cuba
«L’arte mi ha salvato», ha confessato l’attore cubano Jorge Enrique Caballero nella nostra intervista, e dal suo sguardo ho capito cosa intendeva. Allora ho deciso che questo sarebbe stato il titolo di questo articolo che da tempo attendevo di scrivere.
Caballero è originario dell’Avana, di Cayo Hueso, un quartiere che porta sulle spalle la nomea di marginalità. Nessuno nella sua famiglia ha alcun rapporto con quella sublime capacità dell’essere umano di esprimere una parte sensibile del mondo con produzioni estetiche e simboliche.
«Quindi sì, se non avessi creduto di avere capacità musicali come Benny Moré, e se non mi fossi presentato a “muso duro” agli esami attitudinali dell’Istituto Superiore d’Arte, ora sarei altrove e non sarei proprio il migliore», mi ha confessato convinto l’artista senza tradire alcun imbarazzo.
Prima di ritrovarsi cantante sarebbe stato un medico, ma il maestro Armando Suárez del Villar gli diede delle precise indicazioni e il teatro divenne il suo percorso di vita. Senza crederci troppo e senza aver coscienza di ciò che stava facendo, ha corso il rischio.
I primi anni 2000 segnano l’inizio del viaggio attraverso il teatro, il suo periodo di frequentazione della scuola di recitazione. Lì si formò il ragazzo che all’inizio non capiva le lezioni dei suoi professori e si impegnava in una continua lotta con la Filosofia, l’Estetica e le opere letterarie di Honoré de Balzac, Edgar Allan Poe e tanti altri: «Per me è stato un primo anno difficile, non capivo cosa dicevano e molti argomenti mi erano incomprensibili. Ero uno studente terribile e la mia specialità era la riservatezza, l’irrequietezza, la pigrizia e tutti gli aggettivi di questo genere che si potevano aggiungere a quel cocktail», mi ha confessato.
I suoi insegnanti, tuttavia, hanno intuito qualcosa in lui. Perspicaci e saggi, come quasi sempre, disegnarono le loro strategie e insieme a tanti compagni di classe “salvarono” il ragazzo di allora. È così che è uscito dal pilota automatico. Il Caballero di adesso trabocca di talento. Il suo istrionismo emerge in modo naturale sia nel Cinema che nel Teatro e/o nella Televisione, recita come se fosse una cosa facile. Il pubblico cubano lo ricorda bene in ruoli come quello del miliziano in “Lucha contra bandidos”, innamorato dell’impossibile.
Modesto e ingenuo, si crede sconosciuto, non ostenta la popolarità di cui gode, mentre invece la critica lo colloca tra i più rappresentativi interpreti dello spettacolo dell’isola. E lo credo anche io.
L’Accademia e l’insegnante
«Jorge Enrique Caballero non era nella mia lista di interrogati. Proprio quando giunse a quella prova di recitazione, il caso lo portò nell’ufficio di Corina Mestre e mi permise di averlo davanti a me, di parlargli per ore e scoprire anche l’insegnante che sarebbe stato, anche se non in un’aula. Questo è mio figlio. Chiedigli che ti racconti la sua esperienza», mi ha detto subito la professoressa mentre mi affrettavo ad accendere il registratore per non sciupare la fortuna di catturare le sue parole.
È così che ho appreso della sua avventura come tutore di altre generazioni dopo la sua laurea nel 2005 e del potenziale che Mestre e il famoso attore Fernando Hechavarría vedevano in lui per l’insegnamento, così come chi all’Istituo Superiore d’Arte lo aveva avuto come assistente degli studenti.
In seguito avrei accompagnato Eduardo Eimil e poi sarebbe arrivata la responsabilità di trasmettere conoscenze, coniugando comportamenti, attitudini, personalità davanti a un corso regolare e di lavoratori e in una materia come la recitazione che, di per sé, è un lavoro collettivo.
Ogni classe è un processo di studio. Insegnare è stato il suo modo di apprendere perché nella sua filosofia di vita non c’è spazio per la superficialità e, come ha detto, nel teatro si nota quando dietro c’è approfondimento e preparazione.
Ho condiviso esperienze con ottimi attori e attrici che non sono passati per l’Accademia, ma chi ha l’opportunità di passare di qui abbrevia il percorso perché si impadronisce presto della creatività, impara una disciplina, impara a costruire e a non appiattirsi nell’analisi e nei processi di lavoro.
I progetti che porta avanti cercano di essere coerenti e reciproci con se stesso e con coloro che hanno preso parte alla sua formazione, rispondono anche a una vocazione di spirito di servizio e al compito di essere nero, cubano e del caribe fino al midollo.
Rituale cubano. Trilogia teatrale
Jorge Enrique Caballero era uno degli studenti neri nel suo corso di studi. Se la memoria non mi inganna, ne ricorda sette di quegli anni passati all’università. Per questo e per tanti motivi legati alle sue radici, nella sua carriera professionale difende le questioni legate alla questione razziale e all’identità nazionale. Il progetto Rituale Cubano. La trilogia teatrale è emerso dalle inquietudini di Caballero e ha raggiunto il regista teatrale Eimil e un gruppo di creatori disposti a pensare partendo dall’arte e riscoprire il passato che scorre nelle vene della nazione cubana.
Rituali, lotte, sangue, cubania, canti afrocubani, storia si fondono con superba maestria e, con le parole di Alfredo Felipe, si avverte in anticipo lo spettatore: “Per favore, non pensare al vano tributo, o alla causa semplice e solidale del colore (…)». Secondo il suo ideatore, si tratta di un nuovo tipo di iniziativa che diventa piattaforma di ricerca e spazio di creazione e scambio. Ogni spettacolo parla di comprensione e dialogo tra cubani, ogni opera passa attraverso uno studio dei rituali afrocubani o di quelli che sopravvivono e sono legati all’essere sociale, ha spiegato.
Il one-man show sul pugile cubano Kid Chocolate è stata la genesi del progetto ancora senza nome e come fosse una prova, con il nord delle insegnanti Flora Lawten e Raquel Carrió quando Caballero ha lavorato nel gruppo teatrale Buendía.
La prima messa in scena in occasione del Programma di Residenza Artistica per i Giovani dell’America Latina e di Haiti tenutasi in Messico e, successivamente, la presentazione negli Stati Uniti e a Cuba molti hanno elogiato l’attore che ha reincarnato il famoso pugile e padroneggiato con la sua autentica padronanza l’euforia, la paura, il successo, le emozioni.
Poi venne la storia del violinista Brindis de Salas, altro concittadino e uomo di colore che brillò in una società schiava, fu strumentista ufficiale di corte del Kaiser tedesco Guglielmo II, ottenne vari titoli nobiliari e divenne il primo cubano a suonare alla Scala da Milano.
Solo pochi giorni fa, Caballero lo ha nuovamente interpretato. Voci del 1912 ha debuttato nella Casona de Línea de La Habana, una lettura drammatizzata che rievoca le vittime del massacro dei membri del “Partido Independiente de Color” nella Cuba del XX secolo.
Lo spettacolo, spiega il suo autore, ha come fulcro il conflitto endorazziale e le sue diverse forme. Chi lo vedrà ,ha assicurato la professoressa Ziura Rodriguez, assisterà ad un incontro fra radici e antenati cubani in un’opera d’arte straziante.
Il discorso commuove, invoca il “sempre attuale lavoro di saper capire, facendo”. E che non essere indifferenti e generare emozioni sono ingredienti vitali nella sceneggiatura di Jorge Enrique.
“Ho bisogno di creare per respirare. Al di là delle difficoltà e delle mancanze, fare è la mia parola d’ordine”.
Articolo originale: Jorge Enrique Caballero: El arte en Cuba me salvó, Cubasí