Una guerra contro l’incultura

Volentieri pubblichiamo un bellissimo articolo uscito su Granma, il più importante quotidiano cubano, il 12 dicembre 2019. L’autore, Abel Prieto, è scrittore e saggista ed è stato Presidente dell’UNEAC (Unione degli Scrittori e degli Artisti) dal 1991 al 1997 e poi Ministro della Cultura dal 1997 al 2012.

Nel giugno del 1961, Fidel annunciò che Cuba avrebbe sferrato «una guerra contro l’incultura» e chiese agli intellettuali e agli artisti di tutte le tendenze e di tutte le generazioni di porre il loro talento al servizio di questo impegno. Era anche una guerra contro la manipolazione delle coscienze, contro il colonialismo culturale e a favore dell’emancipazione e della pienezza dell’essere umano. L’insegnamento di Martí sulla funzione liberatrice della cultura faceva già parte del pensiero di Fidel.
Cuba stava abbandonando la sua condizione di neocolonia degradata per trasformarsi in una Repubblica sovrana, giusta, degna e ispirata agli ideali martiani e marxisti. I complessi «plattisti» (da emenda Platt, n.d.t.) di inferiorità e lo sguardo ossessionato e servile verso il nord sarebbero stati presto mandati in esilio. La patria e i suoi figli si sarebbero così liberati sotto tutti punti di vista: politico, economico e spirituale.
La Rivoluzione aveva già fondato l’Icaic (Instituto Cubano del Arte y Industrias Cinematograficos), la Casa de las Américas, la Imprenta Nacional (la tipografia nazionale) e la Scuola degli Istruttori d’Arte, e si trovava nel pieno della campagna d’alfabetizzazione. Il Conjunto Folclorico Nacional, sorto nel 1962, avrebbe diffuso attraverso i principali circuiti nazionali la vigorosa cultura popolare cubana tanto disprezzata dall’oligarchia razzista degli yankee. Presto, l’Isola bloccata e vilipesa avrebbe avuto un sistema d’insegnamento artistico completo, dal livello elementare a quello universitario. Il paese si riempì di scuole d’arte, case di cultura, librerie, musei e gallerie.
Fidel appoggiò personalmente la nascita di editrici e tipografie provinciali per diffondere l’opera di scrittori inediti o poco conosciuti, e trasformò la Fiera del Libro de L’Avana in un’affollatissimo appuntamento che avrebbe poi percorso il territorio nazionale.
Quella vocazione avrebbe fatto concessioni estetiche? La Rivoluzione sarebbe ricorsa a stratagemmi pseudo culturali per attirare gli strati meno preparati della popolazione? Il modello yankee che rincretiniva, quella «della cultura di massa» sarebbe stata la strada maestra? Oppure si sarebbe forse replicato il modelo sovietico del «realismo socialista», con il suo carico didattico e gli «eroi positivi» di cartapesta? No, nessuna di queste.
La risposta della política culturale fidelista all’antichissimo dilemma qualità-massa non si poteva cercare nelle semplificazioni. Si doveva promuovere il meglio della cultura cubana e universale, anche le espressioni più sperimentali e difficili, e accompagnare questo lavoro di formazione del pubblico attraverso la partecipazione attiva nei processi culturali, negli spazi di critica specializzata nei media e la promozione di laboratori di approfondimento che aiutassero a decifrare codici di maggior complessità.
Gli alleati più vicini a Fidel nella sua «guerra contro l’incultura» furono i creatori d’avanguardia. Nella fotografia, Fidel impone l’Ordine José Martí a Alicia Alonso (Archivo Granma).

Si riuscì così a contare su molte partecipazioni per espressioni artistiche considerate «minori» come il cinema d’arte, il balletto classico, la danza contemporanea e la vertente concettuale delle arti visive. Non dimentichiamo che Fidel fu l’ispiratore della Biennale de L’Avana che si disegnò su due precetti: non sarebbe stato un evento commerciale e avrebbe dato uno spazio preferenziale agli artisti del sud. Il progetto più ambizioso fu il programma televisivo “Università per Tutti”, che iniziò con un corso di tecnica narrativa del Centro Onelio Jorge Cardoso diretto da Eduardo Heras León. L’iniziativa sorse da uno scambio tra Fidel e Heras in una riunione della UNEAC. Fino a quel momento, il Centro impartiva lezioni concepite per piccolo gruppi di giovani rigorosamente selezionati, compressi in una stretta aula e si trasformò rapidamente in un forum enorme, con centinaia di migliaia di alunni.
Gli alleati più vicini a Fidel nella sua «guerra contro l’incultura» furono i creatori d’avanguardia. Incontrò prestigiosi musicisti, artisti della pittura e della scultura, scrittori, autori teatrali, storiografi, coreografi e ballerini ogni volta che decideva di promuovere un progetto culturale, come quando riprese la formazione degli istruttori d’arte e delle orchestre municipali da concerto, quando appoggiò con decisione la Rete degli Intellettuali, Artisti e Movimenti Sociali «In difesa dell’Umanità»; quando divenne un attivo partecipante dei Congressi e dei Consigli Nazionali della Uneac, della Upec e della AHS. Parafrasando Martì, Fidel ripeteva spesso: Senza cultura non c’è libertà possibile».
Perchè le persone senza radici né memoria, vuote d’idee, non possono essere libere nè capaci di difendersi dai soprusi. Il «dispositivo per pensare da soli» è smontato dalla macchina pubblicitaria e dalla manipolazione del capitalismo che dicono cosa si deve comparare, cosa si deve mangiare, chi ammirare, chi votare, così che (fino a quando disporrà di denaro) si comprerà e si mangerà secondo le indicazioni ricevute. Ovviamente, si fisseranno i criteri per stabilire chi siano le persone “di successo”, a cui si daranno i voti anche se non rappresentano in assoluto altro interesse che il loro proprio.
La cultura, tanto per Fidel come per Martí, influisce inoltre in una sfera umana che è difficile definire, quella che chiamiamo abitualmente «dei valori». L’arte genuina stimola il meglio delle persone, rinforza il senso etico, aiuta a crescere, pone la spiritualità al livello che gli compete, scoraggia l’emarginazione e la violenza, è il miglior antidoto alla predica consumistica e al paradigma competitivo del capitalismo.
Fidel diceva che i meccanismi «educativi» del capitalismo si rifanno all’egoismo e all’esacerbazione degli istinti e delle ambizioni individuali, mentre il socialismo si appella alla solidarietà, alla fraternità e al contrasto degli impulsi più primordiali dell’essere umano. Per questo è così importante la sensibilità artistica e l’abitudine a non banalizzarla, a evitare la mercificazione: la prima missione delle istituzioni educative per le nuove generazioni, una sorta di Brigata José Martí degli Istruttori d’Arte.
Anche se duole, bisogna riconoscere che ci sono anche stati dei passi indietro. In alcuni settori della vita culturale del paese non siamo sempre riusciti ad arginare l’influenza del grande piano di ricolonizzazione globale capitalista che genera un clima frivolo che inquina tutto e conta sulla capacità moltiplicatrice delle reti sociali.
Fidel condivideva la fede martiana nel miglioramento dello spirito umano. Questa fede deve continuare, perchè è il principio fondamentale per affrontare le sfide del presente e usare tutte le vie – anche le reti – per difendere i nostri valori e l’opera culturale della Rivoluzione.
“Perchè vogliamo caserme se quello che manca sono le scuole?” disse Fidel nel settembre del 1959, all’inizio dell’anno scolastico, e stava ovviamente già pensando alla «guerra contro l’incultura».
A tre anni dalla sua scomparsa, abbiamo il dovere di dare continuità a questa sua guerra che deve continuare ad essere anche la nostra.
GM per (Granma Internacional)

Nell’immagine di apertura: Congreso della Uneac. Il poeta Nicolas Guillen parla con Fidel in presenza di Alejo Carpentier e Alfredo Guevara (Foto Mario Ferrer)