L’interferone Alpha2B, una storia emblematica della scienza cubana

Di Bárbara Avendaño
Ottenere l’interferone da leucociti umani a Cuba, è stata un’impresa avveratasi in meno di cinque mesi. Un piccolo gruppo di professionisti, intervistato dalla rivista Bohemia (bohemia.cu), ebbe il privilegio portare con successo a termine il compito affidato loro e supervisionato direttamente da Fidel Castro, autore intellettuale del lavoro scientifico che iniziò il suo percorso di sviluppo 35 anni fa.

Un alone protettivo, quasi misterioso, segnò quei giorni in cui a Cuba fu concepito il progetto per ottenere l’interferone leucocitario, o interferone alfa-2b, e la sua versione ricombinante, la prima molecola raggiunta dall’ingegneria genetica sull’Isola. Eravamo l’inizio degli anni ’80 del XX secolo. Si stavano dando i primi passi nello sviluppo della biotecnologia nel Paese.
Dall’inizio di quell’avventura scientifica, il leader della Rivoluzione Fidel Castro chiese la massima discrezione ai membri del piccolo gruppo che ebbe il privilegio di un ruolo nel progetto, dovuta al fatto che si stava lavorando a un possibile trattamento del cancro, una malattia che causava molte morti e sofferenze, e non si poteva generare aspettative nella popolazione se poi non si sarebbero potute soddisfare. I ricercatori fecero propria la raccomandazione. Per il tempo che si ritenne necessario, il lavoro rimase in assoluta segretezza. Nemmeno i familiari sapevano cosa stessero facendo e dove.
A 35 anni da quel risultato, la gratitudine fa appello alla memoria per descrivere ciò che deriva da quel successo, che pose il Paese in un nuovo paradigma in quanto a risultati scientifici e che propiziò l’inaugurazione del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (CIGB), trent’anni fa.
Bohenia dialoga con i creatori di quel farmaco e ci invita a conoscere da vicino l’incarnazione vivente della modestia, della dedizione, della responsabilità, dell’integrità e dell’amore per il prossimo.
Su come è nata l’idea di provare a produrre l’interferone (IFN) nel paese e di come si realizzò il modo più veloce per renderlo possibile, il dottor Manuel Limonta Vidal, oggi a capo dell’Ufficio Regionale per l’America Latina e i Caraibi del Consiglio Internazionale per la Scienza, offre la sua testimonianza in un libro che sarà presto pubblicato, del quale ha anticipato alcuni passaggi alla nostra rivista.
Tutto ebbe inizio nel novembre del 1980, quando sei medici di diverse specialità arrivarono a Cuba da Houston, insieme al deputato americano Mickey Leland, che organizzò il viaggio, “interessato a conoscere meglio le caratteristiche del popolo cubano, mosso anche dal desiderio di aiutare piccoli e poveri paesi come Cuba, con una ulteriore motivazione personale per i suoi antenati afroamericani”, ricorda Limonta.
Racconta che tra i visitatori c’era anche il professor Randolph Lee Clark, ufficiale e veterano del corpo medico dell’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale, che a quell’epoca era il presidente dell’M.D. Anderson Hospital e del Tumor Institute di Houston.
“Durante il programma di visita, un giorno ricevettero la notizia che il presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri di Cuba, Fidel Castro, era interessato a incontrarli”, dice Manuel Limonta. Durante l’incontro, il leader della Rivoluzione spiegò loro le politiche seguite per la formazione dei medici a Cuba dal 1959, lo sforzo compiuto per garantire l’assistenza medica gratuita a tutta la popolazione e il grande interesse per lo sviluppo della scienza in generale e della medicina come area di maggior priorità”.
L’autore del libro racconta che Fidel chiese al gruppo quale fosse il più grande progresso in quel momento nel mondo per combattere il cancro. Il professor Clark rispose che c’era una nuova medicina in cui erano state riposte speranze: l’interferone. Spiegò che quel prodotto era già stato sviluppato in Finlandia e nel suo centro a Houston lo stavano acquisendo e applicando in varie ricerche legate principalmente alla malattia.
“Così il Comandante in capo parla della possibilità di scambiare con l’ospedale di Anderson le conoscenze relative all’uso dell’interferone, e il professor Clark offre al Comandante la disponibilità a ricevere un cubano per conoscere quanto si stava facendo nel suo istituto, familiarizzare con l’uso del prodotto e con le sue caratteristiche”. In seguito all’offerta del professor Clark, si cominciò a cercare il candidato, ma Fidel volle che si scegliessero due persone per rendere più completa e facile il processo di conoscenza.
Nel dicembre dello stesso anno, Manuel Limonta venne a sapere di essere stato selezionato per visitare l’ospedale Anderson e il suo Istituto di Ricerca a Houston. Ricorda nel suo libro che un giorno fu informato che avrebbe dovuto presentarsi al Palazzo della Rivoluzione per un’intervista con il Comandante en Jefe. Lì apprese della recente visita del gruppo americano e delle aspettative sull’uso dell’interferone. Il Comandante insistette sull’importanza di una consacrazione decisiva per cercare di ottenere quel prodotto e gli disse che aveva una illimitata fiducia nella possibilità di Cuba di ottenerlo, e che questa prima missione sarebbe stata molto importante per il lavoro successivo.
Tre giorni dopo, lo scienziato apprese che nella missione di conoscenza dell’IFN e delle sue applicazioni sarebbe stato accompagnato dalla dott.ssa Victoria Ramírez Albajés, specialista in Biochimica, sua collega presso la Clinica del Ministero dell’Interno.
Partirono per gli Stati Uniti il 14 gennaio 1981. Durante la prima settimana presso l’ospedale Anderson e il suo centro oncologico, visitarono tutti i dipartimenti di ricerca e assistenza. Conobbero le particolarità del lavoro e riuscirono a identificare molto bene le aree di interesse ai fini della loro visita di lavoro.
Di ritorno a Cuba, i due ricercatori furono convocati per un colloquio dal Comandante in Capo: “Ci chiese con meticolosa attenzione dell’uso terapeutico dell’interferone, della nostra esperienza a Houston, delle possibilità future per Cuba…”, racconta Limonta. Spiegarono che era essenziale avviare un addestramento nel laboratorio del professor Kari Cantell, a Helsinki, in Finlandia, per conoscere la metodologia per la produzione di IFN dei globuli bianchi.
Kari Cantell aveva dato mostra di umanitarismo pubblicando il metodo per ottenere e purificare l’interferone per non brevettarlo, in modo che chiunque potesse andare nel suo laboratorio per formarsi e leggere le sue pubblicazioni.
Con questa possibilità, Fidel decise che il gruppo di scienziati fosse esteso a sei. Il suo dottore personale, il professor Eugenio Selman, dopo aver contattato il professore finlandese e conoscendo la sua disponibilità, si incaricò di completare la squadra con altri quattro prestigiosi medici che provenivano dal Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (Cenic): Ángel Aguilera Rodríguez, Pedro López Saura, Eduardo Pentón Arias e Silvio Barcelona Hernández.

Apprendimento a tempo di record
Ci furono diversi incontri tra i ricercatori per chiarire gli obiettivi della missione, prepararsi ed equipaggiarsi di abiti per affrontare i rigori del freddo finlandese fino alla partenza per la Finlandia il 28 marzo 1981. Dopo più di 24 ore di volo, arrivarono in una Helsinki coperta di neve e si sistemarono all’Hotel Presidente – un cinque stelle – situato nel centro della capitale.
“Nel laboratorio di Kari Cantell”, è così che il dottor Pedro López Saura intitolò una delle sue memorie su quei giorni, che ha letto e consegnato a noi di Bohemia in occasione di questo nostro colloquio, mentre rideva ricordando i momenti divertenti che hanno accompagnato questi avvenimenti. Poche settimane dopo la nostra intervista, la notizia della sua morte ha profondamente toccato coloro che lo hanno conosciuto.
“Lunedì 31 marzo, alle 8 del mattino” siamo arrivati “nell’ufficio di Kari Cantell… Prima andammo in laboratorio. Ci dividemmo. Angelito e Barcellona, come virologi, andarono a vedere i processi di induzione dell’IFN. Victoria, Pentón e io, di formazione biochimica, andammo a vedere la raffinazione”.
Limonta partecipò con entrambi i gruppi non solo per essere il responsabile, ma anche come ematologo, per il collegamento diretto dell’interferone con i globuli bianchi, oltre che il processo di elaborazione nelle banche del sangue e per l’uso dell’IFN nell’uomo, “perché dalle idee iniziali, le decisioni del Comandante sono sempre state di concepire il progetto per produrre e applicare immediatamente l’interferone”, afferma López Saura.
Aggiunge nel suo racconto: “Ora sappiamo che Cantell temeva che fossimo andati lì per rubargli l’IFN, e ordinò che tutti i congelatori in cui era conservato fossero chiusi a chiave. Lo confessò nelle sue memorie. Dichiarò anche che era sicuro che stessimo perdendo tempo poiché non pensava che saremmo stati in grado di realizzare il prodotto a Cuba. Quella iniziale sfiducia si attenuò nel corso della settimana, e alla fine dichiarò la sua grande stima nei nostri confronti”. Gli scienziati cubani, al contrario, percepirono un’atmosfera di grande cooperazione e di desiderio di trasferire le conoscenze e di rispondere a tutte le domande e dubbi.

Victoria Ramírez è l’unica donna del gruppo scientifico che lavorò senza risparmio per raggiungere l’obiettivo di produrre l’interferone a Cuba

Victoria Ramírez, l’unica donna del progetto, dichiara che in Finlandia si sentì a suo agio, e che il lavoro fu molto utile anche se “ero preoccupata per i miei tre figli, 15, 12 e 8 anni, rimasti a Cuba con mio marito, anche lui medico, immunologo e ricercatore. Come me, l’intero gruppo di lavoro capiva la necessità di ottenere risultati rapidamente e, e ci sentivamo orgogliosi e grati per essere stati chiamati a far parte di quel gruppo e svolgere quel compito. Il lavoro in Finlandia ci fu molto facilitato, ci insegnarono tutti i passaggi e le fasi del processo, però furono i loro specialisti a lavorare, e noi li seguimmo e osservammo”, aggiunge Victoria.
A Eduardo Pentón Arias piaceva l’Architettura, ma per tradizione familiare scelse la Medicina. Tuttavia, arrivò a innamorarsene, e in particolare della ricerca. Dell’apprendimento in Finlandia riconosce che la metodologia fu ben assimilata, anche se con il passare dei giorni si resero conto che alcune delle procedure lì erano gestite solo fino a un certo punto, sia sotto l’aspetto virologico che biochimico. L’innovazione era il prodotto, ovvero “praticamente non abbiamo avuto necessità di approfondire perché avevamo già le conoscenze che ci permettevano di assimilare la tecnica”.
Ecco perché in Finlandia fu sufficiente una sola settimana e mezza di soggiorno, supportato alla grande dall’allora ambasciatore Carlos Alonso Moreno e dagli altri funzionari, per capire i metodi di produzione dell’interferone. Il 10 aprile Angelito, Barcellona, Victoria e López partirono per Cuba per arrivare all’Avana all’alba del mattino successivo. Pentón e Limonta rimasero a Helsinki per la ricerca dell’attrezzatura necessaria, completare l’elenco degli strumenti, analizzarne le specifiche e identificarne i fornitori.

Casa 149
Al momento dell’inclusione nei sei che avrebbero avuto il compito di produrre l’interferone leucocitario, Silvio Barcelona era interessato a completare la sua tesi di dottorato in Scienze Biologiche e di entrare a far parte del corpo docente della Scuola di Medicina. Ángel Aguilera rinunciò al desiderio di diventare ginecologo e rispose all’appello del Comandante in Capo e si dedicò, insieme a molti altri studenti, alla ricerca scientifica in campo agricolo, in particolare nella veterinaria.
La casa di protocollo contrassegnata con il numero 149 fu trasformata in pochi giorni per produrre l’interferone alfa 2b. Oggi lì si trovano i Laboratori di Farmacogenomica e gli Studi Clinici del CIGB. Entrambi assicurano che dal loro arrivo dalla Finlandia sospettarono, in virtù dell’interesse mostrato nelle sale di ricevimento dell’aeroporto, che qualcuno, facile da immaginare, volesse conoscere i dettagli dei risultati dell’addestramento ricevuto, dice Barcellona nel Centro nel libro Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologia. L’idea umanistica è diventata realtà, realizzata insieme ai collaboratori che costituirono la Commissione di Storia del XX Anniversario dell’Istituto.
Ricorda Aguilera: “Quel giorno ci portarono a casa e ci dissero che il giorno dopo ci saremmo dovuti presentare in un certo posto. A López Saura fu anticipato che avrebbero cercato di adattare una casa di protocollo a Cubanacán come laboratorio, lui avrebbe scelto la più adatta. Quel merito storico ce l’ha Pedro”.
In quella zona scelse quella contrassegnata con il numero 149. Tra le persone che lo accompagnavano, López Saura ricorda Cedalia Cabrera, che guidò la brigata che il giorno successivo iniziò i lavori di trasformazione della proprietà in laboratorio. Da lì, andò a cercare Angelito, Victoria e Barcellona e, riuniti attorno al tavolo della sala da pranzo della casa, disegnarono il piano con le modifiche necessarie per produrre l’IFN.

La casa di protocollo segnata dal numero 149 fu trasformata in pochi giorni per produrre l’interferone alfa 2b. Oggi qui si trovano i Laboratori di Farmacogenomica e Studi Clinici del CIGB

Intorno alle quattro-cinque di quel pomeriggio, sulla scena arrivò Fidel. “In quella conversazione, la domanda chiave che il Comandante ci rivolse fu se fossimo in grado di produrre l’interferone come Cantell. Ci guardammo, e nessuno esitò a rispondere: sì. L’altra domanda importante fu quante ore avessimo programmato di lavorare al giorno. La risposta fu ovvia: quanto fosse stato necessario. Poi si passo a precisare alcuni dettagli. Fidel ci diede anche la casa 150, di fronte, perché fosse utilizzata come ufficio, refettorio e luogo per il necessario riposo, racconta Pedro López.
“In quel momento fu chiaro che si potevano prospettare due scale di produzione di interferone a seconda del numero di donazioni di sangue: uno, utilizzando fino a 150 donazioni come Cantell fece nel suo laboratorio di Helsinki; l’altro, fino a 600 donazioni, fatto alla banca del sangue di Helsinki da Hanna-Lenna Kaupinnen”, spiega l’esperto.
I quattro ricercatori accertarono che nella casa 149 potevano riprodurre il processo da 150 donazioni, ma non per la scala più ampia. “Fidel decise che doveva essere costruito un nuovo sito. Uscì, e dopo pochi passi scelse il terreno, allora occupato da cespugli e qualche albero da frutto, dove ora si trova il Centro di Ricerca Biologica (CIB). Osmany Cienfuegos fu incaricato della direzione dei lavori”, racconta López Saura.
In breve, furono create le condizioni nella casa trasformata in laboratorio. Lavoravano tutta la settimana, giorno e notte. Si istituitì una rete nazionale per ricevere i globuli bianchi dalle banche del sangue delle diverse province per produrre l’IFN. “All’inizio, i concentrati di leucociti arrivavano nei thermos ai terminal degli autobus o all’aeroporto, e noi andavamo in auto a raccoglierli e li portavamo al Centro con urgenza”, ricorda Aguilera.
Le visite del Comandante in Capo erano praticamente quotidiane. “Era uno stimolo straordinario, oltre che un enorme impegno”, assicura Limonta. Il gruppo scoprì una grande ammirazione per l’interesse e la perseveranza di una persona così impegnata che, per la sua profonda motivazione per la salute della popolazione, trovava il modo di seguire anche questi lavori oltre a tutto il resto.
“La seconda domenica di maggio dello stesso 1981, festa della mamma, stavamo lavorando quando arrivò Cedalia e ci disse: ‘Il comandante vi invia questo regalino così che possiate darlo alle vostre mamme’. “Era un taglio di stoffa – racconta riconoscente Aguilera con la voce spezzata dall’emozione… – Non lo dimenticherò mai”.
Antonio González Griego, medico e marito di Victoria Ramírez, non può né vuole nascondere l’orgoglio che prova per sua moglie: “È di poche parole, ma di molta azione. L’ho conosciuta carina, una brava ballerina, e quando ho scoperto le sue grandi qualità ho capito che era una persona molto disciplinata e studiosa. Ha raggiunto tutti gli obiettivi che la vita le ha fissato, e li ha raggiunti bene, con una forza e un coraggio tremendi”.
Victoria ricorda che nella casa 149 lavoravano mattina, pomeriggio, notte e alba. E’ stato estenuante, “ma molto piacevole perché sapevamo che quell’antivirale era necessario. Inoltre, il Comandante in Capo ogni tanto ci veniva a trovare alle tre del mattino o alle tre del pomeriggio. Un giorno gli abbiamo detto “ieri abbiamo visto se è venuto”, e lui ha risposto: “Vi ho visti io. Eravate tutti addormentati. Non state lavorando bene, per lavorare bene dovete farlo per 24 ore”.
Fidel, ricordano tutti gli intervistati, nelle sue frequenti visite ci ripeteva sempre che non si possono risparmiare ore quando dal nostro lavoro dipende la vita di tante persone. E così lavoravano molto intensamente. Tra loro funzionava un’ottima comunicazione, si sostenevano a vicenda. Sono passati attraverso tante prove ed errori.
“Il prodotto si ottiene dalla separazione dei leucociti delle donazioni di sangue provenienti dalle banche e poi incubandoli con un virus in determinate condizioni in modo da indurli a produrre l’interferone, una proprietà dei leucociti sotto azione virale. Il siero ottenuto viene trattato in laboratorio per la distillazione dell’interferone naturale, ed è in quest’ultima fase che siamo intervenuti López Saura e io”, spiega Pentón.
Il gruppo cubano apportò una modifica alla tecnica di Kari Cantell perché lui aggrediva i leucociti risospesi nel terreno di coltura per ottenere l’interferone con un virus che non poteva essere manipolato a Cuba perché non era presente nel territorio nazionale. Ne usarono quindi un altro chiamato Sendai presente nel paese.
“Il siero veniva monitorato per rilevare come evolveva la funzionalita dell’IFN all’aumentare della purezza. La procedura la seguiva Ángel Aguilera, e fu quindi lui il primo a scoprire quando il preparato fu pronto”, assicura Eduardo Pentón.
Circa sei settimane dopo il ritorno dalla Finlandia, fu realizzato il primo lotto di leucociti IFN. “Era il 28 maggio. Ebbi la soddisfazione di essere il primo a saperlo”, ricorda Aguilera, e i suoi occhi ancora brillano. “Ho detto: ecco l’interferone!”.
“Uno di quei giorni in cui eravamo in casa 150, felici perché avevamo già l’IFN, arrivò il Comandante. Quando glielo annunciammo ci chiese: “E non avete bevuto neanche una birretta qualsiasi?”. La bevemmo. Contammo gli incontri che avevamo avuto con Fidel fino a quel momento: 42.
Completata quella preparazione iniziale, un’autorità indipendente doveva verificarne la qualità.
“La rimettemmo a Kari Cantell in Finlandia. Certificò che l’interferone cubano era simile a quello che producevano lì, un bioequivalente, non aveva nessuna differenze sostanziali. Questo ci confermò la validità per poterlo usare a Cuba. Da allora lo produciamo sistematicamente”, afferma Eduardo Pentón.
Era giunto il momento di testare il prodotto nazionale su un essere umano. “Nel nostro gruppo c’era un magrolino” dice Aguilera sorridendo, “e uno cicciottello, Pentón, e ce lo siamo iniettato per alcuni giorni”. Era un dovere morale.
“Il farmaco ha reazioni, ma sono tollerabili: un po ‘di febbre e un disagio generale, è una reazione che si chiama pseudo-influenza, la stessa sensazione di quando si ha il raffreddore, dovuto proprio al fatto che il corpo produce internamente interferone. Questi sintomi si manifestano anche quando viene somministrato l’interferone esogeno, ma sono completamente tollerabili e ordinari, e dipendono dalle caratteristiche di ogni persona, poiché alcune passano l’influenza senza accorgersene, e altre avvertono sintomi in varia intensità. Se queste reazioni non si verificano, bisogna pensare che non è interferone, o che è in quantità ridotta”, avverte Pentón.
Silvio Barcelona specifica che da quella prima preparazione produssero un litro, e allora un millilitro di interferone sul mercato internazionale valeva 90 dollari.
“Un litro valeva 90 mila dollari. Significava che, oltre a tutto il resto, avevamo trasformato uno sforzo scientifico in una potenziale importante fonte di reddito per il paese”.
Secondo quanto ricorda Limonta, trascorsero 58 giorni da quando il gruppo arrivò dalla Finlandia a quando riuscì a ottenere la prima preparazione di interferone per effettuare gli studi che ne avrebbero consentito l’uso sull’uomo. E López Saura aggiunge: “Riconosciuto dallo stesso Cantell, i cubani detengono il record mondiale di velocità nell’ottenimento di IFN leucocitario dopo aver visitato il suo laboratorio”.

La prova del fuoco
L’epidemia di dengue emorragico che colpì Cuba nel 1981 mise a rischio la vita dei bambini, e si decise di applicare l’IFN preparato nel paese. Quella fu anche la prima volta nel mondo in cui il prodotto fu utilizzato per quella malattia. Lo studio coinvolse oltre 300 pazienti e “fu dimostrato che, usato nelle prime fasi sui bambini, l’IFN alfa può prevenire le complicanze emorragiche. Successivamente, presso l’Istituto di Medicina Tropicale Pedro Kourí, fu dimostrato che il virus in vitro è sensibile all’azione antivirale dell’IFN alfa e gamma. Fu solo 19 anni dopo che, altri gruppi, riportarono risultati simili”, ha spiegato il dottor Pedro López in una conferenza.
Negli appunti che ha lasciato alla comunità scientifica, lo scienziato racconta che all’inizio Kari Cantell non accettò di venire a Cuba, ma inviò una sua stretta collaboratrice, Sinnika Hirvonnen, che verificò le condizioni della produzione, diede nuovi consigli, vide che si stava usando l’IFN nei casi di dengue e addirittura se ne ammalò poiché la sua visita coincise con il picco dell’epidemia. “Tornata in Finlandia, ricevette il trattamento con l’IFN leucocitario locale”.
Un’altra epidemia, quella della congiuntivite emorragica, colpì l’isola nel 1981 e fu il campo di prova di una nuova applicazione con i leucociti IFN per prevenire la cheratite, una complicazione che può danneggiare la vista. Nello stesso anno iniziarono altri studi clinici, molti dei quali furono presentati a congressi internazionali e pubblicati come parte della casistica cubana degli anni ’80.
“La creazione dell’interferone è stato un tentativo perché il paese non restasse indietro rispetto all’aspettativa a livello mondiale, in termini di possibilità di utilizzarlo, nei tumori più che propriamente nelle malattie virali, nelle quali si è fatta più esperienza. Con il passare del tempo divenne chiaro quali fossero le indicazioni precise dell’interferone, valide ancora oggi”, afferma Eduardo Pentón.
I nuovi protocolli di ricerca avviati a quel tempo includevano malattie come l’epatite B acuta grave, l’epatite B cronica attiva, la papillomatosi laringea, i portatori asintomatici del virus dell’epatite B intraperitoneale e il cancro al seno.
Silvio Barcelona riflette: “Ma Fidel e noi sapevamo che non saremmo stati in grado di produrre abbastanza interferone per curare tutti i pazienti con cancro e malattie virali, anche se tutti i cittadini del paese avessero donato il loro sangue. Bisognava fare qualcosa. Gli dicemmo che c’era una metodologia recentemente emersa per produrre qualsiasi tipo di sostanza attraverso l’ingegneria genetica, e un ricercatore cubano di nome Luis Herrera stava manipolando geneticamente le molecole al Cenic. Il Comandante volle subito parlargli”.
In un’intervista concessa a Calle del Medio nel settembre 2008, il medico ricercatore Luis Herrera Martínez ricorda che quando il gruppo di colleghi ritornò dalla Finlandia, lui si recò in Francia per scoprire come si otteneva l’interferone da una fonte ricombinante. “Lì ottenni le informazioni che ci servivano e al mio ritorno a Cuba mi stavano aspettando all’aeroporto. Andati direttamente alla casa di protocollo, dove si trovava il Comandante. Non dimentico ciò che mi disse: “E’ arrivato il nostro uomo a Parigi!”.
“Mesi dopo, fu creato il Centro de Investigaciones Biológicas (CIB), e lì abbiamo iniziato a fare un intenso lavoro di clonazione dei geni dell’interferone, il beta, che fu il primo che ottenemmo, poi l’alfa, e bene, da lì si sviluppò tutto il lavoro di ingegneria genetica. A partire dal 1983, dal CIB fu progettato il Centro di Ingegneria Genetica e Bbiotecnologia, e chi si formò nel primo passò a lavorare nel secondo”.
Il lavoro di quel gruppo precursore della biotecnologia cubana rappresentava molto più del semplice interferone stesso, secondo López Saura: “L’investimento in termini di impegno e di consacrazione al lavoro fu completamente recuperato, ma fu messo a frutto anche quel concetto di dedizione, come idea di priorità assoluta quando sono in gioco obiettivi di priorità assoluta”.
Nessuno dei creatori dell’INF pensò in quel momento di scrivere la Storia, ma semplicemente qualcosa di molto importante, e lo fecero con grande responsabilità. Su di loro, Kari Cantell è giunto alla stessa conclusione, e lo ha dichiarato chiaramente nelle sue memorie che ha raccolto nel libro The Story of Interferon, che comprende un capitolo intitolato “Los Cubanos” che inizia così: “Molti visitatori sono stati dimenticati dalla mia mente, ma quelli che sono venuti da Cuba sono associati a così tanti vividi ricordi che devo necessariamente ricordare qualcuno di loro…”.
Quasi alla fine del capitolo dedicato all’Isola, lo scienziato finlandese ricorda: “In una successiva visita a Cuba, vidi il nuovo istituto e rimasi colpito dalle sue enormi dimensioni… Il seme dell’interferone era germogliato per diventare un grande albero biotecnologico”.

Il “grande albero della biotecnologia” di cui parla Kari Cantell

Droga miracolosa?
L’interferone fu scoperto negli anni ’50 dai ricercatori Alex Issacs e Jean Lindenmann, in Inghilterra. Tuttavia, i giapponesi hanno sempre sostenuto che fu nel loro paese che Nagano fece la prima scoperta. Nell’uomo sono stati descritti quattro tipi di interferoni: alfa, omega, beta e gamma, e la loro applicazione clinica ha attraversato diverse tappe che il dottor López Saura ha riassunto in una conferenza scientifica.
“Intorno al 1980, quando era disponibile solo la preparazione di leucociti IFN di Kari Cantell e si iniziò a utilizzare l’IFN alfa-2 ricombinante, i primi risultati positivi furono ottenuti su alcuni malati di cancro e vennero sollevate grandi aspettative riguardo alla sua efficacia su queste malattie. Tuttavia, nella misura in cui sono stati condotti studi clinici controllati, si evidenziarono reazioni avverse non trascurabili nel caso dell’IFN, e si assistette al fallimento terapeutico. L’entusiasmo per il suo impiego cadde e i suoi detrattori scagliarono l’offensiva, come accadde in qualche modo anche nel nostro Paese”.
L’interferone per il cancro non si rivelò essere la medicina miracolosa, ma è ancora usato ed è sul mercato da più di 30 anni. I tumori per i quali il suo uso è approvato e perché si è dimostrato efficace sono la leucemia mieloide cronica, il melanoma e il carcinoma renale.
Attualmente gli IFN hanno circa 30 indicazioni approvate in diversi Paesi che comprendono le malattie virali, i tumori maligni e altre. Sono armi dell’arsenale terapeutico della medicina moderna e una fonte di profitti colossali per le aziende produttrici.
L’interferone classico è stato sostituito dal pegilato, prodotto da Cuba al CIGB. Quest’ultimo ha una farmacocinetica molto più favorevole, dura più a lungo nel sangue ed è più vantaggioso per i trattamenti cronici, come l’epatite virale cronica sia B che C, perché basta iniettare dosi meno corpose e una sola volta alla settimana. L’interferone classico continua ad essere usato nelle malattie virali acute che rispondono al farmaco.

Articolo originale: Biotecnologia: il Precursore