Oggi se n’è andato Luis Sepulveda.
La commozione è stata immensa in tutto il mondo e per chiunque lo abbia amato e apprezzato come scrittore, ovviamente, ma anche e soprattutto come uomo. Per tanti motivi, noi che amiamo Cuba e la “Patria Grande”, siamo stati profondamente toccati dalla notizia della sua prematura scomparsa .
Se c’è un segno che ha contraddistinto la vita, l’opera e le parole di Luis Sepulvelda è la sua fedeltà alla “causa dell’uomo”. Come ogni fiero latinoamericano, il cileno Sepulveda sapeva bene da che parte stare: sempre con i più deboli e i dimenticati. Lo aveva imparato sulla propria pelle in gioventù, durante il golpe cileno.
Nato il 4 ottobre 1949 a Ovalle, trascorre i primi anni di vita a Valparaiso, in compagnia del nonno paterno, un anarchico andaluso, e dello zio Pepe. Con loro inizia ad amare la lettura di grandi scrittori (Salgari, Conrad e Melville) che segneranno le sue scelte future e il suo bisogno di “scrittura errabonda”, in grado di misurarsi con gli ampi spazi del Sudamerica e i grandi sogni dei molti compagni di viaggio che la strada gli ha offerto.
Scrive il suo primo libro di racconti a vent’anni e riceve il Premio Casa de las Americas, poi consegue il diploma di regista teatrale, lavora in una radio, entra a far parte del Partito Socialista e della guardia personale di Salvador Allende. Dopo il colpo di stato del 1973 e la dittatura del Generale Pinochet, Sepúlveda è catturato, interrogato e torturato. Per sette mesi resta chiuso in una cella così stretta e bassa da non potersi neanche alzare in piedi. Dirà: «È difficile immaginare come una mente umana possa resistere e non svanire nella follia, in simili condizioni».
Sarà necessario l’intervento di Amnesty International per uscire di prigione e avere la possibilità di commutare la condanna a morte in un esilio di otto anni. Invece di andare in Svezia dove aveva ricevuto asilo politico, al primo scalo Sepùlveda scappa in Brasile, e poi in Paraguay e in Ecuador, dove conosce un mondo che influenzerà la sua letteratura e il suo destino di scrittore. Per sette mesi vive nella foresta amazzonica con gli indios, dai quali impara la lingua, ma soprattutto il valore del rispetto degli equilibri di Madre Terra. Alla fine degli anni Settanta, dopo l’avventura in Nicaragua e una sosta in Ecuador, parte per l’Europa. Ad Amburgo diventa uno dei maggiori corrispondenti sulle imprese di Greenpeace.
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore del 1988, best-seller in tutta Europa, decreta il suo successo, e poi Il mondo alla fine del mondo, romanzo “ecologista” sulla distruzione del pianeta in nome del profitto, lo consacra definitivamente.
I suoi libri trasformano la verità umana in una realtà romanzesca ma riconoscibile, dove la scrittura è una sorta di combattimento con sé stessi, con il male del mondo, con i fantasmi della Storia, anche quando si stempera nella forma quieta e sapienziale della favola, l’altro modo di Sepulveda per parlare agli uomini, per raccontare il “diritto alla vita” in cui crede.
Da oggi saremo più soli. Ci lascia un vuoto immenso, come quando ci viene a mancare un amico tra i più cari. Per questo, per salutarlo, abbiamo scelto le parole di Gianni Minà, suo grandissimo amico che con lui ha condiviso non solo lo spirito e l’amore per il continente sudamericano, ma gli è anche stato compagno di lotte.
“Nello spazio breve che identifica il respiro di un amico, se n’è andato da questo mondo Luis Lucho Sepulveda, falciato da quella ormai che è la peste del nostro secolo.
Ho voluto bene all’uomo, ma non posso fare a meno di piangere l’intellettuale che aveva partecipato alle lotte per il riscatto dell’America Latina con il coraggio e la forza che hanno solo i visionari, i romantici e i pazzi.
Perché Lucho le battaglie non le aveva scansate, ma le aveva affrontate per davvero. Era un prototipo di scrittore e guerrigliero. Sempre coerente.
Sono stato con lui a casa sua e della sua adorata moglie, la poetessa Carmen Yanez, per due compleanni nei quali aveva riunito i suoi numerosi figli e i suoi amici sparsi in tutto il mondo. Sono state giornate indimenticabili.
Mi sento più solo, ma ho l’ingenua certezza che adesso lui è ritornato a fare la guardia del corpo al suo amato Presidente Allende.
Ciao Lucho, mi mancherai, sapendo con certezza che mi è impossibile ogni lenimento”.