di Oni Acosta Llerena, Granma, 6 luglio 2022
Traduzione a cura di Centro Studi Italia Cuba
Quando si affronta la complessa questione del rapporto tra politica egemonica e arte, un settore estraneo alle dinamiche in questione si colloca quasi sempre in una zona di conveniente ambiguità. Così, vengono spinte e indotte tendenze artistiche che devono apparire equidistanti, evidentemente per evitare contraddizioni che potrebbero essere paragonate a un serpente che si morde la coda.
Nell’industria musicale, gli eventi e le presenze su determinate piattaforme mirano, scandalosamente, non solo a raggiungere il pubblico interessato, ma anche ad ampliare un’interessante rete di ricerca verso altri possibili mondi paralleli e, per questo, utilizzano modalità di seduzione ben note.
Una di queste strategie è il marketing, ora sostenuto anche da una serie di tecniche digitali che perseguitano il destinatario in modo quasi spietato, e che grazie ai risultati del controllo del traffico nelle reti e dell’incrocio dei dati, possono raggiungere i loro dispositivi mobili a seconda della traccia che essi lasciano quando si visitano le pagine su Internet.
Si può parlare di democratizzazione dell’informazione? Possiamo pensare che la proposta dei contenuti musicali risponda a meccanismi spontanei o casuali? Penso di no in entrambi i casi.
Tornando a quello che ho descritto in queste pagine come un crossover tecnologico, la principale differenza è che prima l’utente visitava – ogni volta che voleva – un negozio di dischi e decideva se acquistare o meno a suo gradimento. Ora invece, il bombardamento di informazioni è così sofisticato che questo utente riceve notifiche, e-mail, SMS e tutto ciò che è alla sua portata digitale per influenzarlo, predisporlo e persino divagare su ciò che è di moda in quel momento, quale canzone è di tendenza o l’ultima novità nelle reti. della tua star e della musica preferita: un intero cocktail di sedativi musicali indotti da una posizione dominante.
All’interno di un’architettura di libero flusso di informazioni, tutto questo sarebbe un mondo più che ideale, quasi perfetto, oso pensare. Ma questo traffico di gusti digitali, a partire dal perché dovremmo ascoltarlo o se una canzone o una band è di tendenza, non corrisponde a quella che è solo un’apparente libertà su internet e, ovviamente, sulle sue varie e più potenti piattaforme di distribuzione musicale.
Potremmo pensare che anche i contenuti di musicisti meno visibili possano essere promossi o distribuiti, ma questo si scontra contro un massiccio sistema di colonizzazione e gerarchia della musica che è dettata a seconda dei casi da quale sia la maggior convenienza e di chi ne detiene i diritti. La banalità, fonte di reddito non di poco conto, e che porta all’articolazione coerente di un mercato fatto di voci ipnotizzanti, si impone sempre più a scapito di proposte più solide o, quanto meno, che potrebbero benissimo raggiungere un pubblico diversificato.
La presunta libertà di consumo musicale sulle reti viene schiacciata quando vengono favorite le espressioni compiacenti mentre molti altri musicisti devono unirsi a etichette discografiche o piattaforme indipendenti per sopravvivere artisticamente ed economicamente. Anche per Cuba, questo fenomeno deve essere preso in considerazione nei processi e nelle forme di consumo, e non solo condurre battaglie sul campo, ma espanderle all’intero mondo digitale dove, logicamente, si sta anche costruendo un discorso e c’è una comunità in continua crescita.
Articolo originale: Música, consumo en redes y códigos seductores, Granma