di Graciela Ramírez Cruz e Yaimi Ravelo, Resumen Latinoamericano
traduzione a cura di Centro Studi Italia Cuba
… «Voglio continuare a giocare la partita persa
Voglio essere alla sinistra più che alla destra
Voglio fare un congresso di chi è unito
Voglio pregare profondamente un “figlio nostro”
***
Diranno che la follia è fuori moda
Diranno che la gente è cattiva e che non merita
Al più, me ne andrò sognando marachelle
Forse moltiplicare pani e pesci»…
“El Necio”, Silvio Rodriguez
Un anno dopo gli eventi dell’11 luglio 2021, Cuba en Resumen dialoga con i giovani cubani di diverse città per condividere le loro analisi, riflessioni e punti di vista partendo da questa attualità complessa e dalla speranza per il futuro.
Michel Torres Corona, originario dell’Avana, si è laureato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Avana nel 2017. A 29 anni, ha affrontato diverse sfide. È direttore dell’Editorial Nuevo Milenio, i suoi articoli sono pubblicati su Cubadebate, il più grande sito web cubano, e sul quotidiano Granma, l’organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, con la più grande tiratura del paese.
Il suo modo colloquiale, piacevole, divertente e spensierato raggiunge non solo i giovani ma anche gli adulti di diverse generazioni che aspettano il martedì e il giovedì quello che Con Filo ci racconterà, con quello stile tipico di Michel e dei suoi compagni. Riescono, in soli 15 minuti di trasmissione, a mettere a nudo le perverse campagne mediatiche contro la Rivoluzione Cubana, riflettono anche con ironia sull’aggressività di questa guerra non convenzionale di nuova generazione. Grazie mille, Michel, per averci concesso l’intervista.
CR- L’11 luglio è stato un tentativo di colpo di stato morbido in cui sono stati coinvolti criminali, settori disadattati della popolazione, disoccupati, studenti e persone confuse. Cosa ha preceduto l’11 Luglio? Che ruolo hanno avuto i media, le reti sociali e gli “account fake”? Qual è stata la tua reazione? Quali conclusioni trai oggi da quei fatti?
MT-La prima cosa da dire sull’11 luglio è che non può essere spiegato alla leggera. Non è stato né un tentativo di rivoluzione né una massiccia operazione di cambio di regime: c’era malcontento tra il popolo per situazioni oggettive (carenza di risorse, blackout elettrici, pandemia) e sopra quel malcontento, quella tensione sociale, è stato montato l’apparato di “agitazione e propaganda”, messo in atto dai nemici del socialismo a Cuba. E sì, ci sono stati molti criminali che hanno approfittato della confusione per commettere reati, ma sono scese in piazza anche persone che si sono sentite semplicemente impotenti di fronte a un momento molto complesso per il Paese.
Prima, durante e dopo quelle ore turbolente, è stata messa in atto una campagna attraverso i media controrivoluzionari e alcuni profili sui social network (in particolare Twitter) per amplificare le difficoltà e incoraggiare una risposta violenta. I #SOSMatanzas prima e il #SOSCuba dopo, sono cresciuti in modo esponenziale, qualcosa che è stato molto complicato da organizzare nel suo complesso, e ha iniziato a esercitare la sua pressione su artisti cubani e stranieri affinché si unissero nella protesta. L’obiettivo fondamentale era rompere quel confine che esiste tra mondo virtuale e realtà, in modo che tutta la frustrazione, tutto l’odio che contamina le reti digitali filtrasse nelle strade. E, per alcune ore, ci sono riusciti. La mia reazione è stata quella di qualsiasi cubano impegnato nel processo rivoluzionario: uscire per strada per difenderlo. Certo, né io né nessuno dei miei amici siamo andati a picchiare o minacciare chi non la pensava come noi: eravamo armati solo di qualche bandiera. Le pietre, le bottiglie vuote e gli insulti sono stati, per la maggior parte, lanciati nella nostra direzione, malgrado ora cerchino di raccontare quelle manifestazioni come “pacifiche”.
Guardando con la tranquillità di oggi verso quel giorno sfortunato, in cui potremmo vedere raffigurato in anteprima l’ipotetico futuro di una Cuba senza Rivoluzione, credo che dobbiamo difenderci di più e meglio sui media. Dobbiamo organizzarci meglio affinché questo genere di cose non ci trovi impreparati. E lavorare per contenere al minimo ogni possibile errore, per combattere ogni forma di disuguaglianza, perché da essa dipendono la vita del nostro progetto socialista e il benessere della stragrande maggioranza del popolo cubano.
CR-Da giovane e da avvocato, cosa pensi delle sanzioni applicate dalla Giustizia a chi ha commesso reati contro le persone e i beni dello stato?
MT-Non può esserci impunità. Se hai rubato, se hai danneggiato case o autoveicoli, se hai approfittato di quella situazione caotica per attaccare qualcuno, devi ricevere una sanzione. Allo stesso modo, dobbiamo preparare di più le nostre forze dell’ordine, in modo che siano più efficaci nel controllare questi eventi, senza dover eccedere nell’uso della forza. Certo, è fin troppo facile discutere seduti su di una comoda poltrona a casa piuttosto che affrontare una folla inferocita. La nostra polizia agisce in conformità con il mandato costituzionale di proteggere il nostro sistema e la sicurezza dei cittadini. Qualsiasi giudizio che diamo alle sue azioni deve partire da questa premessa e non dobbiamo tracciare falsi parallelismi tra il PNR e altre polizie veramente repressive e crudeli, della nostra epoca passata o di diverse parti del mondo.
CR-Quali sono le sfide nel dirigere una delle case editrici più importanti del Paese come Nuevo Milenio de Ciencias Sociales, in una fase critica dell’economia a causa dell’intensificarsi del blocco, con un pubblico di lettori esigenti come i cubani, data la mancanza di strutture essenziali, principalmente carta e materie prime per la stampa grafica.
MT-Gestire una casa editrice è sempre un compito complesso. Richiede uno sforzo amministrativo e intellettuale per non farsi prendere dalla routine e per far sì che l’istituzione possa diventare uno spazio di elaborazione creativa. Il pubblico dei lettori cubani chiede, esige una maggiore qualità e quantità dei titoli, e a volte falliamo non avendo il buon senso di scegliere ciò che è meglio pubblicare. Da questo punto di vista dobbiamo migliorare. Certamente, le difficoltà economiche che sta attraversando il Paese aggiungono problematiche all’intero processo produttivo che c’è dietro un libro, non solo dal momento della stampa, quando non c’è carta o altro materiale, ma anche nelle condizioni di lavoro degli editori, designer e altri lavoratori. Ma è una sfida che accettiamo e nella nostra storia sono stati superati ostacoli peggiori. Non possiamo arrenderci o essere intimiditi.
CR-Il tuo programma ConFilo, una coproduzione con Cubadebate e La Pupila, che ha raggiunto le 100 trasmissioni, implica una grande capacità di lavoro collaborativo, molta lettura e analisi delle informazioni. Come prepari ogni trasmissione?
MT-Dietro ConFilo c’è una piccola ma preziosissima squadra. Prima di ogni registrazione, ci sediamo per discutere, insieme a Iroel Sánchez e Randy Alonso, che sono le principali fonti di osservazione sulle opinioni o critiche che sono circolate nei media su Cuba e la nostra realtà, o notizie che ci interessano anche se non riguardano il nostro paese. Poi, sia Ana che Gaby ed io scriviamo la parte della sceneggiatura che tocca a ciascuno di noi e la mattina dopo andiamo in studio. La preparazione è costante: in ogni momento bisogna essere in sintonia con la “conversazione digitale” ed essere consapevoli di quali sono i principali obiettivi del bombardamento mediatico che questo ben oliato sistema di media e di “influencer” controrivoluzionari ci regala quotidianamente. È un’altra grande sfida, per la quale non abbiamo nemmeno molte risorse, ma che affrontiamo convinti che i contenuti televisivi debbano contemplare uno spazio per il confronto e la critica di ciò che si consuma su internet.
CR-Oltre alle tue responsabilità alla guida di Nuevo Milenio e ConFilo, è richiesta la tua presenza in diverse manifestazioni. Cosa passi la maggior parte delle tue giornate? C’è spazio per l’amore?
MT-Siamo costantemente invitati in dibattiti e conferenze e, logicamente, il tempo è poco. Le mie giornate mi scivolano tra le mani a un ritmo di lavoro che non avrei mai immaginato di avere. Che sia nella casa editrice, o in preparazione del programma, o in studio, o in qualsiasi luogo dove siamo invitati come conferenzieri o semplicemente a dialogare con pubblici diversi, il dispendio di energie e di tempo è notevole. Di solito mi sento stanco ma fa parte degli obblighi e delle responsabilità che ci si assume. E sì, per l’amore c’è sempre il tempo e lo spazio… o lo si inventa.
CR- L’antimperialismo è ancora un valore nella gioventù cubana?
MT-Non mi piace parlare di gioventù come di un gruppo omogeneo. Ci sono giovani, molto più di quanti ne vorrebbe il nemico, che hanno interiorizzato l’antimperialismo come una componente essenziale dell’identità cubana. Non si può essere autenticamente cubani e difendere contemporaneamente le posizioni annessioniste o i contenuti dell’emendamento Platt(*), tanto meno nel 21° secolo. Ma certo ci sono giovani, più di quanto vorremmo, che sono stati sedotti dalla mitologia del “sogno americano”, vittime della propaganda hollywoodiana, feriti a morte dallo spirito del consumismo. Il capitale esercita su di loro tutto il suo fascino, il suo potere di sottomissione, e li trasforma, grazie all’ignoranza di cui soffrono e alle nostre insufficienze nell’educarli adeguatamente, in imitatori e duplicatori di quei miti, in esseri umani che non difendono la solidarietà e la giustizia, ma agiscono esclusivamente a vantaggio personale.
E non puoi essere antiimperialista quando dimostri di essere superficiale o stupido.
CR-La battaglia della comunicazione implica nuovi e maggiori sforzi. Cosa serve per migliorarla?
MT-La cosa principale per migliorare il nostro impatto in questa battaglia comunicativa che possiamo perdere è l’organizzazione che non perfezionaremo mai del tutto. Dobbiamo organizzarci meglio per non essere dei “combattenti solitari” che lottano da soli contro gli eserciti. E penso sia anche importante capire che saremo sempre svantaggiati nell’ambiente digitale.
I social network, per quanto siano venduti come paradigmi di libertà di espressione, sono prodotti, governati dalla logica mercantile delle aziende transnazionali che li hanno creati e sviluppati. E noi non abbiamo i soldi per competere in questa logica mercantile né possiamo contare sul favore dei proprietari di Internet, quel piccolo gruppo di milionari che hanno i loro interessi di classe molto chiari e che trovano nella Rivoluzione una fonte di inconciliabili antagonismi, una minaccia allo status quo.
Quindi da un punto di vista tattico, dobbiamo sfruttare il terreno in cui siamo più forti: i nostri mass media. Combattere in televisione, alla radio, sulla stampa, destinare le poche risorse a ciò che dà i migliori risultati. E questo non significa che abbandoniamo il campo digitale, per niente: la battaglia va combattuta su tutti i fronti, ma con priorità su quelli che ci danno il maggior successo.
CR-Martí, Fidel, il Che hanno lasciato in eredità a Cuba e all’umanità il pensiero e l’azione anticolonialista, antimperialista e internazionalista. Brillavano come oratori, propagandisti, comunicatori e costruttori della Cuba socialista. Cosa ci direbbero oggi di fronte all’assalto brutale dell’imperialismo che intende divorare la loro opera?
MT-Non so cosa direbbero oggi: so cosa hanno detto. E quello che hanno detto all’epoca è pienamente valido oggi. Peccato per l’umanità che non è abbastanza evolura, ma è utile per quelli fra noi che sono determinati a farlo. Di fronte a questa offensiva dell’imperio, che non è mai cessata ma ha avuto periodi di maggiore o minore intensità, dobbiamo continuare ad andare avanti in compagnia del pensiero di Martí nelle sue profondità, della argomentazioni potenti e frontali di Fidel, dell’intransigenza del Che e del suo “neanche un pochino così”. Ignorare quelle lezioni della nostra storia, quell’eroica eredità del nostro popolo, significherebbe condannare irrimediabilmente il nostro futuro.
CR-Il presidente di Cuba Miguel Díaz Canel ha dichiarato alla riunione del Consiglio nazionale dell’Uneac e sul suo account Twitter del 9 luglio: “Quello che festeggeremo davvero come primo anniversario dell’11 luglio è che il popolo cubano e la Rivoluzione cubana hanno annientato un colpo di stato vandalico». Siete i protagonisti di questo trionfo dell’amore contro l’odio. Come verrà celebrato a Con Filo?
MT-Non avrei mai immaginato di poter fare la puntata numero 100 di Con Filo. Ma eccoci qua. E lo celebrerò insieme al lavoro di squadra. È (quasi) tutto ciò che sappiamo fare, lavorare per mantenere lo spettacolo apprezzato e non gradito, a seconda dei casi. La puntata numero 100 sarà molto speciale, per molte ragioni, e combineremo la denuncia delle campagne nemiche con una buona e salutare dose di autoesaltazione. Perché no? Niente irrita i nostri nemici più del nostro buonumore. E poi si continua a lavorare. Niente di più.
CR- È ancora valido l’avvertimento del grande Julius Fucick(**), “Compagni state attenti”?
MT-È un messaggio valido per sempre. Quelli che uccisero Fucik sono gli stessi che hanno ucciso Víctor Jara, che hanno assassinato Rosa Luxemburg, che non hanno mai capito il pensiero di Martí, che cercano di demonizzare Fidel e il Che, che non hanno la sensibilità per capire Cuba, che sanno solo come poter rendere omaggio al potere e al denaro. Sono i nemici del popolo, i nemici del genere umano, coloro che per assurda avidità o ignoranza sono disposti a lasciare che il mondo muoia piuttosto che abbandonare i loro privilegi, quelli veri o coloro che immaginano di ottenere, se continueranno ad essere degli utili servitori. Di fronte all’ascesa del fascismo e del fondamentalismo, di fronte ai profeti arrabbiati del neoliberismo, di fronte a coloro che cercano di vendere i lupi come se fossero agnelli, dobbiamo essere sempre vigili. O finiremo di scrivere il nostro reportage ai piedi del patibolo.
Con Filo in onda 99 “sta già arrivando”!
* L’Emendamento Platt fu un emendamento a una risoluzione congiunta del Congresso degli Stati Uniti d’America che aveva lo scopo di stabilire le condizioni per il ritiro delle truppe statunitensi rimaste a Cuba alla fine della Guerra ispano-americana.
** Scrittore giornalista cecoslovacco.
Articolo originale: El 11J y los retos de la juventud cubana