Commemorando il giorno della perdita fisica del Comandante Fidel Castro, volentieri pubblichiamo questo articolo di Raúl Capote (traduzione a cura del Centro Studi Italia Cuba).
Viaggiare nel futuro e ritornare per avvisarci della trappola, del possibile agguato, del cambio di rotta del tal stratega politico o del tal Paese, per avvertirci del danno irreparabile alla natura, per darci ottimismo e fiducia in abbondanza, non era abbastanza per chi cavalca un sogno così grande e puro.
Aveva sulla fronte il bacio dell’Apostolo e nella mano l’alchimia giusta per sanare qualsiasi ingiustizia. Vedeva di più perché guardava più lontano. Gli orizzonti convergevano nella sua volontà di vincere qualsiasi contrarietà.
Il non essere perfetto lo ha reso perfetto per la sua gente che, di fronte a qualsiasi dubbio, cercava la parola giusta e affermava, con assoluta convinzione: “L’ha detto Fidel”.
Non faceva previsioni, non era un fattucchiere o uno stregone, anche se a volte gli abbiamo creduto per il suo potere anticipatorio; era un rivoluzionario e uno statista geniale, un osservatore e un consacrato studioso delle realtà di questo mondo.
Ma come non credere alle sue doti divinatorie quando in quell’incontro di Cinco Palmas intravvide la futura vittoria della Rivoluzione, o avvertì della sfida che quella vittoria avrebbe significato, e della dura lotta che sarebbe venuta dopo il trionfo?
Avvertì anche sul cambiamento climatico e sulla minaccia di una guerra nucleare o della fine dell’Unione Sovietica. Molti non gli hanno creduto, la sua gente sì.
L’attuale scenario mondiale ci riporta alle sue parole, mettendoci in guardia sul ruolo della NATO quando, in una sua riflessione, scrisse che «questa brutale alleanza militare è diventata il più perfido strumento di repressione che abbia mai conosciuto la storia dell’umanità».
Sull’organizzazione guerrafondaia disse: «Molte persone si stupiscono di sentire le dichiarazioni di alcuni portavoce europei della Nato quando si esprimono con lo stile e l’espressione delle SS naziste».
Predisse anche, diciamo così, il declino economico e politico dell’Occidente di fronte al protagonismo della Russia e della Cina: «L’impero di Adolf Hitler, ispirato dall’avidità, passò alla storia senza più gloria dall’incoraggiamento dato dai governi borghesi e aggressivi della NATO, che li rende lo zimbello dell’Europa e del mondo, con il loro euro, che alla stregua del dollaro diventerà presto un pezzo di carta chiamato a dipendere dallo yuan e anche dal rublo, derivante dalla dilagante economia cinese strettamente legata all’enorme potenziale economico e tecnico della Russia».
Nel 67° anniversario della vittoria sul nazifascismo, in una sua riflessione scriveva: «Gli yankee e gli eserciti sanguinari della NATO non potevano certo immaginare che i crimini commessi in Afghanistan, Iraq e Libia; gli attacchi al Pakistan e alla Siria; le minacce contro l’Iran e altri paesi del Medio Oriente; le basi militari in America Latina, Africa e Asia, potessero essere eseguiti con assoluta impunità, senza che il mondo si rendesse conto della folle minaccia».
Credeva fermamente nella capacità della Federazione Russa di offrire una risposta adeguata ai più sofisticati mezzi convenzionali e nucleari dell’imperialismo, e di vincere, una certezza che servì da consiglio a chi oggi suona i tamburi della guerra contro quel paese.
Avvertiva sul pericolo di una guerra nella penisola coreana, che considerava uno dei più gravi rischi di guerra nucleare dopo la crisi di ottobre del 1962, rischio tuttora in atto: «Se lì scoppia una guerra, i popoli di entrambe le parti della penisola saranno terribilmente sacrificati, senza alcun vantaggio per nessuno», disse.
Il 21 marzo 2012 scrisse una delle sue riflessioni più profetiche: “Le strade che portano al disastro”. In essa esprimeva la sua preoccupazione per l’aggravarsi della crisi di sopravvivenza della specie umana: «Quando vent’anni fa dissi, alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo a Rio de Janeiro, che una specie era in pericolo di estinzione, avevo meno motivi di oggi per avvertire su un pericolo che allora vedevo su un orizzonte forse di 100 anni». Poi ha ricordato che quel giorno, a Rio, i leader mondiali presenti applaudirono, forse solo per cortesia, alle sue parole, ma poi «hanno continuato placidamente a scavare la fossa alla nostra specie».
La sua domanda, al centro della riflessione, continua a interrogarci: «Qualcuno pensa per caso che gli Stati Uniti sapranno agire in modo da preservarsi dall’inevitabile disastro che li attende?».
Convinto, rispose: «Da parte mia, non ho dubbi che gli Stati Uniti stiano per commettere e condurre il più grande errore della loro storia». E suggellò quello scritto con una lezione: «Se non impariamo a capire, non impareremo mai a sopravvivere».
Sembra che sia ancora lì, al suo tavolo di lavoro, seguendo con il suo occhio acuto i recenti avvenimenti europei, l’escalation della guerra in Ucraina, la recrudescenza del fascismo e i pericoli che minacciano la specie.
Fidel viene dal futuro perché è lì che vive, in quel luogo dove convergono i sogni e le speranze migliori dell’umanità.
Raúl Antonio Capote, 24 novembre 2022
Articolo originale: El profeta y las lecciones de la historia